Nel presente contributo analizziamo la figura del cosiddetto “pseudo dirigente”, ossia il soggetto che, pur essendo inquadrato contrattualmente nella categoria dirigenziale, non esercita, di fatto e in autonomia, quelle funzioni organizzative e di impulso indispensabili per definire tale un dirigente.
In particolare, analizziamo le differenze tra lo pseudo dirigente e il dirigente apicale.
Come stabilito da una nota sentenza della Suprema Corte[1], la qualifica dirigenziale spetta esclusivamente al prestatore di lavoro che, come alter ego dell’imprenditore, sia preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale (o una branca o settore autonomo di essa). Il cosiddetto dirigente apicale, inoltre, si assume la responsabilità delle attribuzioni di cui è investito: attribuzioni che, per la loro estensione e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli permettono – benché sempre nell’osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro – di imprimere un orientamento al governo complessivo dell’azienda.
Da questa figura si differenzia quella del cosiddetto pseudo dirigente, ovvero il lavoratore che, pur investito di funzioni direttive e preposto ad un ramo di servizio, ufficio o reparto, svolge la sua attività sotto il controllo dell’imprenditore o di un altro dirigente, dunque con circoscrizione dei poteri di iniziativa e con corrispondente limitazione di responsabilità. Conseguentemente, la qualità di pseudo dirigenza deve escludersi qualora al prestatore di lavoro siano affidati incarichi caratterizzati da autonomia e responsabilità, convenzionalmente riconosciuti come dirigenziali[2].
Lo pseudo dirigente è colui che, al contempo, sul piano formale dell’inquadramento è riconosciuto contrattualmente come dirigente[3] mentre, sul piano sostanziale delle mansioni di fatto espletate, non esercita funzioni in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale della categoria dirigenziale[4].
È importante rilevare che la pseudo dirigenza potrebbe configurarsi anche in caso di demansionamento a danno dell’originario dirigente, ad esempio nell’ipotesi di soggezione ad un processo di erosione del proprio mansionario, spesso mediante pratiche di mobbing o straining aziendale.
A tal riguardo, si segnala che anche la categoria dei dirigenti è interessata dal disposto dell’art. 2103 cod. civ.[5], i quali possono validamente rivendicare la lesione, da parte del datore di lavoro, del diritto all’effettivo svolgimento della propria prestazione professionale (demansionamento).
L’inquadramento o meno del prestatore di lavoro alla stregua di uno pseudo dirigente è necessario al fine di identificare la tutela legale loro applicabile: l’accertamento, in concreto, della sussistenza delle condizioni necessarie per l’inquadramento nell’una o nell’altra categoria, costituisce apprezzamento riservato al giudice di merito.
La problematica principale concerne la fattispecie del licenziamento. Dottrina e giurisprudenza hanno dovuto stabilire se mantenere o meno, in capo allo pseudo dirigente, le garanzie avverso il regime di libera recedibilità[6], giungendo alla conclusione che il cosiddetto licenziamento “ad nutum” (il licenziamento senza giustificazione del dirigente), a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, è applicabile solo al dirigente apicale, mentre il licenziamento dello pseudo-dirigente è soggetto alle norme ordinarie[7] con la possibilità, quindi, di contestare l’assenza di una giusta o di un giustificato motivo alla base del licenziamento.
Qualora il lavoratore, seppure formalmente indicato quale dirigente (con la conseguente attribuzione di un trattamento più favorevole anche a livello economico), non rivesta nell’organizzazione aziendale un ruolo di incisività e rilevanza analogo ai dirigenti convenzionali e, dunque, sia qualificabile come pseudo dirigente, all’applicazione delle garanzie procedurali previste dall’art. 7 Statuto dei lavoratori[8] devono seguire le conseguenze previste, secondo le norme ordinarie, per qualsiasi lavoratore subordinato[9].
In conclusione, dunque, per individuare il regime regolante la risoluzione del rapporto lavorativo del dirigente, l’effettività delle mansioni svolte prevale sulla qualificazione formale.
per approfondimenti: marcopola@npassociati.com – Avvocato del lavoro
[1] Cass. Civ. Sez. Lavoro, 23 marzo 2018, n. 7295, in Pluris.
[2] Cass. Civ. Sez. Lavoro, 20 giugno 2018, n. 16261, in Pluris.
[3] Cass. Civ. Sez. Lavoro, 1 luglio 2019, n. 17627, in Pluris.
[4] Cass. Civ. Sez. Lavoro, 26 ottobre 2018, n. 27199, in Pluris.
[5] L’art. 2103 cod. civ. sancisce il diritto del lavoratore all’adibizione a mansioni corrispondenti alla propria qualifica.
[6] Ex art. 2118 cod civ.
[7] Trib. Messina Sez. Lavoro, 28 aprile 2017, in Pluris.
[8] Legge n. 300/1970.
[9] Trib. Venezia Sez. Lavoro, 6 agosto 2018, in Pluris.