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Licenziamento Dirigenti

Pianifico la risoluzione del tuo rapporto di lavoro dirigenziale

FAQ

(le domande più frequenti che i dirigenti mi rivolgono in occasione della cessazione del loro rapporto di lavoro)

Anzitutto, verificheremo insieme se l’eventuale cessazione del rapporto sia connesso alla volontà di sostituirti oppure ad una vera e propria soppressione del ruolo che hai ricoperto. Poi verificheremo se sono percorribili iniziative da parte tua per contestare il comportamento datoriale, anteriore alla risoluzione del rapporto di lavoro, e mi riferisco ad episodi di straining se non addirittura di mobbing. Cercheremo di capire se hai subito dei pregiudizi anche con riferimento alla tua salute psicofisica (riconducibili alle condotte dei tuoi superiori o dei tuoi colleghi di lavoro). I predetti approfondimenti sono mirati a creare i presupposti di un beneficio economico (buona uscita, incentivo all’esodo, good leaver) in tuo favore in occasione della risoluzione del rapporto di lavoro.

Dobbiamo capire se le condotte datoriale (messe in atto con comportamenti del datore di lavoro ovvero anche con condotte omissive dei controlli dei comportamenti dei tuoi colleghi) che stai subendo possono essere oggetto di denuncia e contestazione con apposite formali comunicazioni rivolte ai tuoi diretti superiori ed al responsabile risorse umane. Cercheremo e raccoglieremo le prove delle predette condotte, non solo con registrazioni e corrispondenza ma anche con le prove dello stato psicofisico del dirigente. A tale scopo consiglio sempre di non accontentarsi delle prescrizioni del medico curante, ma , laddove il pregiudizio abbia coinvolto anche la sfera psichica (per esempio, con patologie come distimia, ansia, depressione, insonnia, mal di testa), è sicuramente utile avviare un percorso di assistenza psicologica (con apposite relazioni periodiche del professionista) ed, in seguito, è opportuno programmare anche appositi accertamenti sanitari in strutture ospedaliere che dispongano di un dipartimento che possa valutare il rischio da stress lavoro-correlato.

Per rispondere a questa domanda occorre ovviamente disporre e considerare la tua ultima busta paga, il tuo contratto di lavoro, esaminando anche i benefits aziendali di cui hai goduto in passato nella tua qualità di dirigente, nonché la tua anzianità di servizio; occorre poi conoscere il CCNL applicato e non ultimo occorre esaminare come si è sviluppato il tuo rapporto di lavoro anche per verificare se nel corso dello stesso hai subito qualsivoglia danno e/o pregiudizio (esaminando eventuali danni alla tua immagine professionale ovvero in ambito psicofisico). Con queste informazioni e dopo opportuno calcolo della indennità supplementare e dell’indennità di mancato preavviso (nelle misure minime e massime previste dalla contrattazione collettiva in funzione anche della anzianità di servizio) si può ipotizzare la misura della tua buona uscita. In taluni casi occorre anche valutare se durante il rapporto di lavoro ti hanno concesso delle stock option e le condizioni contrattuali per la loro conservazione dopo la risoluzione del lavoro (bad leaver e good leaver).

Dopo attenta valutazione delle caratteristiche del tuo contratto e rapporto di lavoro, verificheremo se sussistono o si possono creare i presupposti per intraprendere alcune iniziative tra le quali la predisposizione e l’invio di lettere e/o denunce informali per contestare determinati comportamenti datoriali e circostanze in fatto (demansionamento, mobbing, straining, promozioni non ottenute, comportamenti discriminatori, danno alla salute del dirigente, eccessivi carichi di lavoro, etc.) anche al fine di avviare un confronto con i tuoi superiori e con il responsabile delle risorse umane. Dopo questa prima fase di confronti stragiudiziali, verificheremo se sia possibile spostare il confronto tra legali e, solo in ultima analisi, laddove i suindicati confronti in sede stragiudiziale non abbiano sortito gli effetti auspicati e laddove sia possibile rassegnare le dimissioni per giusta causa, avanzeremo le tue richieste spostando davanti ad un Giudice il confronto depositato apposito ricorso.

Preciso, anzitutto, che il recesso del dirigente dal proprio rapporto di lavoro (denominato dimissioni) richiede la sola dichiarazione di volontà del lavoratore che diventa efficace esclusivamente nel momento in cui giunge a conoscenza del datore di lavoro. Per giusta causa delle dimissioni si deve intendere un motivo (non rientrante nella sfera di volontà arbitraria del dirigente) che non consente la prosecuzione neanche temporanea del rapporto di lavoro, sia esso a tempo indeterminato che determinato. Le dimissioni per giusta causa trovano origine in comportamenti e situazioni imputabili al datore di lavoro costituenti violazioni di legge o inadempimenti contrattuali caratterizzati da una certa gravità. Ad esempio, il reiterato mancato pagamento della retribuzione o la corresponsione di una retribuzione inferiore al dovuto rappresenta un fatto giustificante le dimissioni immediate del dirigente. Altre ragioni, possono essere riconducibili al demansionamento e/o alla dequalificazione professionale subiti, al mancato riconoscimento di una promozione, a comportamenti mobbizzanti datoriali (sia a livello verticale – da parte dei propri superiori gerarchici – che orizzontale – da parte dei propri colleghi di lavoro -), alla mancata regolarizzazione della posizione previdenziale del dirigente, alla richiesta di prestazioni esorbitanti le normali mansioni ricoperte dal dirigente e, più in generale, a vessazioni e pregiudizi subiti dal dirigente nell’ambiente lavorativo. Il dirigente che si dimette per giusta causa, peraltro, ha facoltà di abbandonare immediatamente il lavoro, senza concedere il preavviso e conservando, però, il proprio diritto a percepire la relativa indennità (sostitutiva del preavviso). Il dirigente, inoltre, nei casi più gravi, ha anche diritto di avanzare richiesta di pagamento dell’indennità supplementare. E’ sicuramente opportuno, a tale proposito, costruire un piano di azione da parte del dirigente al fine di contestare dapprima informalmente i comportamenti datoriali (al fine di lasciare traccia delle denunce del lavoratore), per poi procedere – laddove non si possa aprire un tavolo di trattative tese a stimolare una buona uscita/incentivo all’esodo in favore del dirigente -, a formalizzare le dimissioni per giusta causa del dirigente.

L’incentivo all’esodo consiste in una somma di denaro in favore del dirigente per agevolare la risoluzione del rapporto di lavoro. L’incentivo all’esodo consente al datore di lavoro di contenere i costi in quanto esente da contribuzione previdenziale. Datore di lavoro e dirigente devono concordare se parametrare l’incentivo all’esodo ad una frazione dell’indennità supplementare (per un approfondimento: L’indennità supplementare in favore del dirigente) prevista in caso di licenziamento illegittimo e dell’indennità di mancato preavviso (per un approfondimento: L’indennità di preavviso in favore del dirigente). La quantificazione dello stesso dipende da una serie di fattori tra i quali riveste un ruolo importante l’anzianità di servizio del dirigente ovvero gli anni di contribuzione previdenziale che mancano per maturare la pensione di vecchiaia o di anzianità.

Nella prassi, l’accordo relativo alla risoluzione del rapporto di lavoro (con o senza incentivo) deve essere formalizzato all’interno di un verbale di conciliazione (al fine di ottenere la cosiddetta tombale), sottoscritto innanzi a specifici organi: le direzioni territoriali del lavoro, le associazioni sindacali maggiormente rappresentative (cosiddetta conciliazione in sede sindacale), oppure, ancora, innanzi a Collegi di conciliazione e arbitrato irrituale (art. 412 quater, c.p.c.) ed, infine, presso alcune ulteriori Commissioni di certificazione istituite presso le Università (art. 82, D. Lgs. n. 276/2003).

L’accordo relativo alla cessazione del rapporto di lavoro del dirigente potrebbe essere caratterizzato da clausole che riguardano sia questioni meramente economiche sia questioni che solo indirettamente comportano vantaggi o svantaggi economici. Tra le prime, ricordiamo: i) la pattuizione relativa al pagamento di una cifra predeterminata in favore del dirigente a titolo di buona uscita/incentivo all’esodo, spesso correlata ad un determinato numero di mensilità della retribuzione (talvolta parametrata alla misura dell’indennità di preavviso e dell’indennità supplementare); ii) l’eventuale spettanza e maturazione in favore del dirigente dei bonus di fine anno che potrebbero essere riconosciuti in favore del dirigente in quota parte rispetto al momento dell’anno in cui si verifica la risoluzione del rapporto di lavoro, ovvero, essere proporzionalmente considerati al fine dell’esatta quantificazione della retribuzione mensile da moltiplicare per il numero di mensilità che andranno a formare l’incentivo all’esodo; iii) il riconoscimento di un importo da concordare a titolo di transazione giustificato sia dall’eventuale contenuto novativo della transazione, sia dalle ulteriori rinunce del dirigente che spesso caratterizzano un accordo transattivo (di solito in una misura compresa tra il 5% ed il 10% dell’importo complessivo dell’incentivo all’esodo/buona uscita); iv) l’eventuale riconoscimento (con riferimento alla esatta quantificazione della retribuzione mensile da moltiplicare per il numero di mensilità che compongono l’incentivo all’esodo) di alcuni dei fringe benefits di cui godeva il Dirigente durante la vigenza del rapporto di lavoro (ad esempio: telefono cellulare, auto aziendale, buoni pasto, assicurazioni sulla vita, assistenza sanitaria integrativa, ecc.). A queste clausole se ne affiancano altre che non si traducono immediatamente in una somma di denaro ma che potrebbero comunque comportare dei benefici (ovvero gli svantaggi) economici come le pattuizioni che riguardano v) la consulenza esterna (con spese a carico del datore di lavoro) in favore del dirigente per agevolare la sua ricollocazione nel mondo del lavoro (outplacement); vi) il prolungamento temporaneo della concessione di alcuni benefits (sia pensi, per esempio, alla auto aziendale); vii) il prolungamento di alcune coperture assicurative in favore del dirigente anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro; viii) limitazioni per il futuro operato del dirigente con riferimento alla sua collaborazione con competitors del datore di lavoro soprattutto quando il contratto di lavoro era caratterizzato da patti di non concorrenza; ix); limitazioni concordate dei potenziali clienti che potranno essere contattati dal dirigente in futuro.

La tassazione delle somme caratterizzanti l’incentivo all’esodo è equiparata a quelle percepite a titolo di trattamento di fine rapporto sia sotto il profilo fiscale che sotto il profilo contributivo. Pertanto, l’incentivo all’esodo non prevede il pagamento di contributi previdenziali ma l’importo percepito dal dirigente sarà assoggettato fiscalmente, ex art. 17, D.P.R. n. 917/1986, a tassazione separata e non all’IRPEF ordinariamente calcolata. Infatti, se queste somme (spesso ingenti) non fossero soggette a tassazione separata, nell’anno in cui vengono erogate, il reddito del lavoratore sarebbe particolarmente ingente e, quindi, l’aliquota Irpef, che è progressiva, aumenterebbe notevolmente. La tassazione separata, dunque, comporta una riduzione delle tasse per il dipendente in quanto l’incentivo all’esodo, così come il TFR, viene tassato in base all’aliquota media di tassazione relativa ai cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto a percepire la somma e non in base all’aliquota dell’anno in cui viene percepito.

Hai diritto di ricevere l’indennità supplementare se il licenziamento non è caratterizzato da giustificatezza. Per valutare la spettanza dell’indennità supplementare, quindi, verificheremo insieme se il licenziamento è riconducibile ad una lesione del rapporto fiduciario che ti lega al tuo datore di lavoro, bilanciando in maniera oggettiva l’applicazione del principio di correttezza e buona fede, da una parte, e la libera iniziativa economica privata del datore di lavoro, dall’altra. Più nel dettaglio, preciso che il tuo datore di lavoro, se intende essere esonerato dall’obbligo di corrispondere l’indennità supplementare, deve fornire la prova della fondatezza e della veridicità delle motivazioni, nonché della loro idoneità per giustificare il recesso. Con riferimento alla quantificazione dell’indennità, è necessario fare riferimento alle disposizioni dei contratti collettivi. I più diffusi sono il CCNL Dirigenti Industria e il CCNL Dirigenti Aziende del Terziario della Distribuzione e dei Servizi, che, di recente, peraltro, hanno subito importanti modifiche. Con riferimento, per esempio, al CCNL Dirigenti Industria, l’art. 19 comma 15, prevede che, dal gennaio 2019, le mensilità (pari all’ultima retribuzione di fatto percepita dal dirigente) aumentino al progredire dell’anzianità di servizio, secondo i criteri che seguono: (i) anzianità fino a 2 anni: 4 mensilità; (ii) anzianità da 2 a 6 anni: da 4 a 8 mensilità; (iii) anzianità da 6 a 10 anni: da 8 a 12 mensilità; (iv) anzianità da 10 a 15 anni: da 12 a 18 mensilità; (v) anzianità oltre 15 anni: da 18 a 24 mensilità. Anche per il CCNL Dirigenti Aziende del Terziario della Distribuzione e dei Servizi le mensilità da corrispondere variano in relazione all’anzianità del servizio prestato in azienda e sono così determinate dall’art. 39: (i) anzianità fino a 4 anni: 6 mensilità; (ii) anzianità oltre 4 anni e fino a 10 anni: 8 mensilità; (iii) anzianità oltre 10 anni e fino a 15 anni: 10 mensilità; (iv) anzianità oltre 15 anni: 12 mensilità.

Se sei un quadro, non si applicano, ovviamente, le regole previste per i dirigenti e nel caso di licenziamento, occorre, anzitutto, verificare la data di assunzione dalla quale discende l’applicazione di due distinte discipline (per aziende con più di quindici dipendenti). Se sei stato assunto prima del 7 marzo 2015 si applica la disciplina del vecchio Statuto dei Lavoratori che prevede svariate ipotesi di risarcimento: nei casi più gravi, (per esempio licenziamento discriminatorio dichiarato nullo) oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro, potrà essere riconosciuta un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, in ogni caso, non inferiore alle 5 mensilità. Fermo restando tale risarcimento, il lavoratore ha inoltre la possibilità di sostituire la reintegrazione nel posto di lavoro con un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Negli altri casi, meno gravi, è prevista una tutela di natura solamente risarcitoria da un minimo di 6 ad un massimo di 24 mensilità tenendo conto di vari fattori tra cui l’anzianità di servizio, le condizioni delle parti e la gravità del comportamento datoriale. Se sei stato assunto dopo il 7 marzo 2015 si applica la disciplina delle tutele crescenti ed in caso di licenziamento illegittimo, hai diritto solo a un’indennità risarcitoria crescente in base all’anzianità di servizio (2 mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di 6 mensilità e un massimo di 36 mensilità). In caso di licenziamento discriminatorio o verbale, ovvero nei casi di licenziamento disciplinare del tutto destituito di verità e fondato su un fatto insussistente, anche laddove si applichi la disciplina delle tutele crescenti, è possibile chiedere la reintegrazione sul posto di lavoro oltre al risarcimento del danno subito. Anche nelle ipotesi sopra indicate, ritengo che ci siano considerevoli vantaggi, prima che si verifichi la risoluzione del rapporto di lavoro, adoperarsi per avviare un tavolo di confronto con il datore di lavoro teso a quantificare una buona uscita/incentivo all’esodo in favore del lavoratore.