Premessa
Il fine ultimo del presente approfondimento è rispondere al seguente quesito: si applica anche ai dirigenti il termine di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento?
Con la sentenza n. 148/2020, confermata successivamente dalla n. 395/2020, la Cassazione si è pronunciata sul predetto quesito ed in particolare sull’applicazione dell’art. 32, co. 2 L. 183/2010 alle ipotesi di licenziamento intimato ad un dirigente.
Come noto, l’introduzione dell’art. 32 della L. 183/2010 ha modificato l’ambito di applicazione dell’art. 6, L. 604/1966, estendendo il regime dei termini decadenziali per l’impugnazione del licenziamento, e quindi il termine di 60 giorni per l’impugnativa stragiudiziale del licenziamento ed il termine di 180 giorni per la proposizione del ricorso giurisdizionale, a tutti i casi di invalidità dello stesso[1].
L’interpretazione del concetto di “invalidità” nelle sentenze n. 148/2020 e n. 395/2020 della Cassazione
La Cassazione, nelle richiamate pronunce, ha definito l’ambito applicativo di tale estensione attraverso l’interpretazione del significato del termine invalidità.
Nello specifico, ad avviso della Corte, il termine invalidità ha un significato preciso che presuppone un atto di licenziamento caratterizzato da un vizio intrinseco che rende del tutto ingiustificato il licenziamento.
Il licenziamento invalido, ha precisato la Corte, sarebbe pertanto quello affetto da vizi tali da rendere l’atto di recesso “inidoneo ad acquisire pieno ed inattaccabile valore giuridico”, che ricorre nei casi individuati dall’art. 18 comma 1 Statuto Lavoratori.
Con la Legge 92 del 2012, nella nuova formulazione dell’art.18, comma 1, i dirigenti sono stati per la prima volta destinatari di una tutela piena per le ipotesi di nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi della L. 11 maggio, n. 108, art. 3, ovvero intimato in violazione dei divieti di licenziamento ex art. 54, commi 1,6,7 e 9 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 e successive modificazioni o intimato in concomitanza con il matrimonio ai sensi dell’art. 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al D.Lgs 11 aprile 2006, n. 198, o perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c.
Nelle sentenze richiamate la Corte ha sottolineato che il regime decadenziale di cui all’art. 32, comma 2, L. 182/2010 è da ritenersi estendibile solamente a questa categoria giuridica di “invalidità”.
Inapplicabilità del regime decadenziale alle ipotesi di ingiustificatezza del licenziamento
Il regime di decadenza per l’impugnazione del licenziamento, non si applica invece al dirigente che agisce in giudizio per ottenere l’indennità supplementare a causa dell’ingiustificatezza del licenziamento. Ingiustificatezza, lo ricordiamo, che si può ricondurre, per semplificare, all’applicazione di criteri meno rigidi per ritenere legittimo il licenziamento del dirigente, ritenendo, per l’appunto, giustificate, motivazioni del licenziamento che con altro inquadramento lavorativo (operai, impiegati e quadri) non sarebbero state giuridicamente apprezzabili e/o valide per escludere l’arbitrarietà del recesso.
L’art. 32 comma 2, L. 182/2010 ha, infatti, esteso l’applicazione dei termini decadenziali per l’impugnazione del licenziamento a tutti i casi di invalidità dell’atto di recesso e dunque anche a fattispecie esterne alla disciplina della L. n. 604/1966. Non ha invece previsto alcuna estensione, ai dirigenti, delle ipotesi di nullità del licenziamento esterne alla L. 604/66, diverse da quelle previste dall’art. 18 comma 1 dello Statuto Lavoratori.
È solo con la Legge Fornero che sono state previste delle ipotesi di nullità dei licenziamenti (esterne alle ipotesi di invalidità descritte nel testo originale della L. 604/1966) cui consegue di diritto la tutela reintegratoria anche per i dirigenti.
Secondo la Suprema Corte, quindi, rimane esclusa dal regime decadenziale di cui all’art. 32 della Legge 182/2010 la domanda avente ad oggetto l’accertamento della illegittimità del recesso per ingiustificatezza del licenziamento del dirigente. L’espressione “invalidità” deve essere intesa in senso restrittivo, nei termini di atto inidoneo ad acquisire pieno valore giuridico. Non può ricondursi nel concetto di invalidità l’ipotesi della ingiustificatezza, che si collega ad un atto pacificamente valido che incide in termini solutori sul rapporto di lavoro.
Il regime decadenziale costituisce, infatti, norma eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica, anche nel rispetto dei canoni interpretativi di cui all’art. 12 delle preleggi.
Pertanto, nel concetto di invalidità, non può ricondursi l’ipotesi della ingiustificatezza, data la sua origine convenzionale e la tutela meramente risarcitoria prevista per essa dalla contrattazione collettiva e dalla legge.
Conclusione
Alla luce dell’orientamento della Suprema Corte, in conclusione, l’impugnazione da parte del dirigente del licenziamento affetto da una causa di invalidità tra quelle indicate all’art. 18 dello Statuto Lavoratori risulta soggetta al rispetto del doppio termine di decadenza disposto dall’art. 6 della l. 604/66 (60 giorni per impugnare il licenziamento e 180 giorni per incardinare il giudizio). Diversamente, la domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento per ingiustificatezza, con conseguente condanna del datore alla corresponsione dell’indennità supplementare, risulta soggetta al più lungo termine prescrizionale di 5 anni dalla cessazione del rapporto ai sensi dell’art. 2948 c.c. [2]
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[1] Art. 32, comma 2, L. 182/2010: “Le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidità del licenziamento”.
[2] Art. 2948 cod. civ., nn. 4 e 5 c.c.: “Si prescrivono in cinque anni: 4) gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi; 5) le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro”.